Questo scritto è apparso in "Librobreve" il 3 gennaio 2018
Interessantissimo in poesia, leggibile in italiano grazie alle traduzioni di Nelo Risi, altro grande poeta del Novecento (in un Oscar Mondadori ormai irreperibile), e pure in prosa: così si presenta a grandi o grossolane linee l'opera di Pierre Jean Jouve (Arras, 11 ottobre 1887 – Parigi, 8 gennaio 1976), divenuta negli ultimi decenni sempre più marginale nell'universo dei libri in commercio. Non fa eccezione il celebre Paulina 1880 del 1925, che ancora si trova in qualche circuito dell'usato, ma che non presenta tracce di reperibilità, nonostante la trasposizione cinematografica per mano di Jean-Louis Bertuccelli nel 1972 che ne ha sancito una certa rilevanza nell'immaginario dei personaggi memorabili del Novecento. Il libro è ambientato nell'Italia settentrionale, tra Milano, Como, Mantova, Firenze e il finale carcerario a Torino ed è tra l'altro puntellato di un cospicuo numero di italianismi, puntualmente segnalati nell'edizione Einaudi qui richiamata (1972, traduzione di Daniela Selvatico Estense). Da un punto di vista strutturale quello che colpisce è proprio la fattura del libro, composto di 119 paragrafi mediamente brevi che alternano momenti descrittivi puri, passaggi narrativi, pagine di diario, poesie, sintesi, preghiere. A breve torneremo proprio su questo aspetto che costituisce il motivo principale di questa "rilettura".
Per riprendere la trama dell'opera, che si apre su un'epigrafe di Santa Teresa d'Avila ("L'amore è duro e inflessibile come l'inferno"), basterebbe proporre il penultimo di questo paragrafi, il numero 118.
Paulina Pandolfini.
Nata a Milano il 14 giugno 1849. Figlia minore di Mario Giuseppe Pandolfini e di sua moglie Lucia Carolina.
Nubile senza professione.
Soggiornò come novizia nel convento della visitazione a Mantova dal 1877 al 1879.
Uccise a Firenze, il 28 agosto 1880, il suo amante conte Michele Cantarini.
Condannata a giudizio dalla corte di Firenze in data 12 aprile 1881, a venticinque anni di prigione. Ha scontato la pena nel carcere giudiziario di Torino fino al 15 giugno 1891, data in cui è stata graziata.
La storia di Paulina si muove tra le contrazioni della sensualità sconvolgente e il sentimento della religione, in quell'area che ci parla da vicino delle possibili contiguità tra il piacere carnale totale e il sentimento di purezza. Il contatto con Paulina non è esiziale solo per il conte Cantarini. Anche la Madre Superiora del convento di Mantova, dal quale verrà allontanata, è profondamente scossa dall'incontro con Paulina. Paulina è cresciuta tra i tabù, l'attenzione ossessiva dei fratelli maggiori. Eppure quello che fa lo combina sotto il naso del padre (le chiavi della sua camera prelevate per le notti d'amore si trovano sotto il suo guanciale). Le morti del padre e della moglie del conte Cantarini rappresentano due snodi psicologici importanti del percorso (soprattutto la seconda, quando si presenta la possibilità di sposare il conte, rifiutata però dalla protagonista).
Alla sua comparsa, quasi un secolo fa, il libro ebbe grande successo in Francia, meno altrove. I gusti mutano e oggi probabilmente non si ritiene più questo testo appetibile. Quello che però rimane un punto fermo è l'architettura del libro, che andrebbe ristudiata e compresa nella sua novità. La scelta (stendhaliana) di ambientare in più località d'Italia un dramma e un gorgo di pazzia avrà probabilmente avuto un certo effetto e richiamo all'epoca. Bellissime sono le descrizioni degli interni, dalle quali un bravo regista saprebbe cogliere spunti decisivi, ma pure le contrapposizioni di tutti questi brevi paragrafi che talvolta assomigliano a un susseguirsi di poemi in prosa compatti donano un effetto plastico a Paulina 1880, opera che, come ebbe a notare Rilke, è composta da una serie di immagini catturate come da uno stereoscopio.
Nella prosa la possibilità di osare delle soluzioni nuove e insolite è sempre esistita. Solo ultimamente ci siamo forse un po' fissati sul fantomatico romanzo, ma non mi pare che questa fissazione stia dando sempre grandi risultati. Soprattutto mi sembra non faccia bene all'ecosistema dei libri. Tuttavia, finché la parola "romanzo" compare in copertina di così tanti libri, significa che ha ancora un potere pubblicitario, anestetico, rassicurante e comunicativo largamente riconosciuto. Eppure è possibile scrivere un libro sperimentale, con forti venature rosa (o persino noir) come Jouve, e a maggior ragione credo sia ancora possibile proporlo a livello editoriale. Ma non chiamatelo a tutti i costi "romanzo", davvero non ce n'è bisogno.
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